
Steve Lehman, a Bologna per sorprendere
Lunedì 30 ottobre l’edizione 2017 del Bologna Jazz Festival sarà di casa all’Unipol Auditorium, dove alle ore 21:15 si esibirà il gruppo “Sélébéyone”. Assieme al leader e sassofonista Steve Lehman, ad alimentare il turbinoso incontro tra il jazz contemporaneo newyorkese e i suoni ‘nuovi’ dell’elettronica e del rap africano ci saranno HPrizm e Gaston Bandimic (voci), Maciek Lasserre (sax alto e soprano), Carlos Homs (tastiere), Drew Gress (contrabbasso) e Damion Reid (batteria). Quello di Lehman è il primo di due concerti del BJF 2017 realizzati in collaborazione col Gruppo Unipol: l’altro avrà per protagonista Lee Konitz, atteso a Bologna per celebrarne l’inesauribile forza creativa alla soglia dei novant’anni (2 novembre).
Forse non è ancora un nome familiare al pubblico italiano, eppure nel referendum Top Jazz 2014 indetto dal mensile Musica Jazz in un sol colpo Steve Lehman è arrivato primo in ben tre delle quattro graduatorie del jazz internazionale, imponendosi per la migliore formazione, il miglior disco (Mise en Abîme) e anche come migliore musicista dell’anno (pleonastica sarebbe stata la sua presenza nella quarta graduatoria, riservata agli artisti emergenti: Lehman ormai appartiene di diritto alla classe dei big).
Del resto, se da noi ha l’aria della nuova proposta, anche per l’età ancor giovane del sassofonista, nato a New York nel 1978, la stampa statunitense già da diversi anni tesse le più esplicite lodi di questo strumentista e compositore. Nel 2009 il New York Times ha scelto il suo Travail, Transformation & Flow come miglior disco jazz dell’anno, definendone l’autore “un sassofonista semplicemente abbagliante”.
Quella di Lehman è una musica audace, percorsa dall’inquietudine dell’avanguardia ma senza eccessi radicali: un punto di svolta significativo del linguaggio afroamericano. Allievo di Anthony Braxton e Jackie McLean, Lehman si esibisce frequentemente con Vijay Iyer, Jason Moran e lo stesso Braxton, e ha collaborato anche con Dave Burrell, Dave Douglas, Mark Dresser, Oliver Lake. Ma è anche e soprattutto leader di diversi gruppi, con i quali sforna dischi capaci ogni volta di stupire per la visione innovativa.
E con Sélébéyone (il disco è del 2016, ma la band è attiva già dal 2015) conferma appunto la sua capacità di combinare suoni in maniera decisamente inedita, sapendo coniugare innovazione musicale e immediatezza d’ascolto. È lo stesso Lehman a fornire la lista degli ingredienti di Sélébéyone: rap senegalese, musica spettrale francese, jazz contemporaneo, hip hop underground, elettronica interattiva. Un’incredibile ‘cucina’ musicale dalla quale scaturisce un’alchimia magica, con la cadenza delle voci (in inglese e nella lingua wolof senegalese) usata per fornire la trama al lavoro strumentale. Inserendosi con questo suo nuovo progetto in una storia ormai lunga di flirt tra il jazz e l’hip hop (Miles Davis, Steve Coleman, Greg Osby, Vijay Iyer, Matthew Shipp, Robert Glasper, Kendrick Lamar...), Lehman trova un terreno dal quale estrarre qualcosa di fondamentalmente inaspettato.